By Riccardo Intini Martedì, 13 Marzo 2018
Nel 2017 il governo ha chiuso 2000 moschee, nell’ennesimo giro di vite contro la libertà religiosa e politica dell’autocrate Rahmon. E la repressione sta aiutando i reclutatori del jihad, dice a eastwest.eu il portavoce del principale partito dell’opposizione, ora fuorilegge
In Tagikistan, la più povera delle ex repubbliche sovietiche, il governo autoritario di Emomali Rahmon ha chiuso nel solo 2017 ben 2.000 moschee, alcune delle quali trasformate in centri culturali, cliniche mediche o sale da tè. È l’ennesimo giro di vite contro la libertà religiosa nella più fervente nazione musulmana dell’Asia Centrale.
Ogni imam, in Tagikistan, è nominato e stipendiato direttamente dal governo, che esercita la propria stringente autorità attraverso il consiglio degli Ulema e la commissione per gli affari religiosi. Il controllo statale sull’islam è così forte che a partire dal 2010, in tutta la nazione, ai minori di 18 anni è stato espressamente vietato di recarsi in una delle 4.000 moschee autorizzate dal governo.
Queste forme di controllo – a cui deve aggiungersi una generale disapprovazione per hijab e barbe lunghe – sono spesso giustificate con la necessità di combattere l’estremismo religioso e il terrorismo. Ma rischia di condurre al risultato opposto, dice a eastwest.eu Mahmudjon Faizrahmon, portavoce dell’Islamic Renaissance Party (Irpt), un partito moderato che per anni è stata la maggior forza d’opposizione a Rahmon, al potere da un quarto di secolo.
«Il numero di persone che si sono unite volontariamente ai gruppi terroristici è aumentato dopo il 2015, quando l’Irpt venne dichiarato fuorilegge», sostiene Faizrahmon. «Le politiche oppressive del governo in materia di libertà politiche e religiose, potrebbero spingere altri giovani verso la radicalizzazione, verso l’Isis e i gruppi estremisti. A causa delle nostre attività di contrasto nei confronti di ogni radicalizzazione, peraltro, i gruppi estremisti ci minacciano regolarmente, con costanza, anche con video e messaggi inequivocabili».
I membri dell’Irpt sono stati definiti “terroristi” dal potere, e la maggior parte di loro è stata costretta a emigrare in nazioni come l’Austria o la Turchia, uno dei pochi Stati collegati al Tagikistan da voli diretti. Il leader del partito, Muhiddin Kabiri – il cui nome è stato recentemente rimosso dalla lista dei ricercati internazionali dell’Interpol – è riuscito a trovare asilo politico in Germania, dove vive tuttora.
Dei membri esiliati dell’Irpt si è tornato a parlare con insistenza nelle scorse settimane, quando è emerso che Namunjon Shairpov, uno dei membri più eminenti del partito, è stato costretto a interrompere forzatamente il proprio esilio a Istanbul e a tornare in Tagikistan, dove è considerato un terrorista. Nel 2015, quando l’Irpt venne bandito dal Paese, il governo di Rahmon accusò i suoi esponenti di aver partecipato a un tentativo di colpo di Stato, accusandoli platealmente di essere dei pericolosi terroristi. Dopo più di due anni di distanza, il governo non è stato ancora in grado di produrre nessuna prova a supporto delle sue accuse.
«Sciogliendo l’Irpt e arrestando decine di esponenti di alto rango, il presidente Rahmon credeva di porre fine una volta per tutte al maggior partito d’opposizione, ma si sbagliava – dice Mahmudjon Faizrahmon. E ha danneggiato così anche l’unico risultato degno di nota ottenuto dal 5 anni di potere: l’accordo di pace che 1997 ha messo fine a cinque anni di guerra civile».
Prima del 2015, l’Irpt era l’unico partito islamico ufficialmente riconosciuto nell’ex Unione Sovietica, e i suoi membri hanno trovato posto nel Parlamento tagiko per ben 15 anni, garantendo un certo equilibrio istituzionale. .
Negli anni scorsi, prima che venisse dichiarato fuorilegge, il partito di Kabiri ha svolto un ruolo cruciale anche nel contrastare gli estremismi religiosi e la radicalizzazione, specialmente nei più giovani, alcuni dei quali si sono uniti all’Isis. Nel 2016, tra le milizie dello Stato islamico che combattevano in Siria c’erano stando ad alcune stime almeno mille combattenti centroasiatici, specialmente tagiki e uzbeki.
Il Tagikistan dovrà misurarsi anche con la crescente minaccia proveniente dalle sue frontiere meridionali, dall’Afghanistan, dove l’Isis si sta molto rafforzando. Secondo alcuni osservatori, il confine tra le due nazioni – una fascia territoriale di circa 1300 chilometri – sarebbe regolarmente presidiato dai miliziani dell’Isis e dai mercenari tagiki, e il rischio di possibili infiltrazioni sarebbe molto alto. Da questo punto di vista, il Tagikistan condivide gli stessi timori delle altre nazioni centroasiatiche – come l’Uzbekistan – che confinano con l’Afghanistan, preoccupate dal rischio sempre più concreto che gli estremisti penetrino nei loro territori per compiere attentati.
«Il Tagikistan è nel bel mezzo della peggiore crisi umanitaria e repressiva dalla fine della guerra civile», conclude Mahmudjon Faizrahmon. «Se le altre nazioni continueranno a ignorare ciò che accade nel nostro Paese, la crisi porterà in Europa più rifugiati e più radicalizzazione. Il presidente Rahmon comprende soltanto il linguaggio delle sanzioni, e sembra preoccuparsi unicamente delle sue proprietà nelle banche occidentali e dei suoi conti offshore».
http://eastwest.eu/it/opinioni/open-doors/tagikistan-repressione-reclutamento-isis